Descrizione
Carlo Cassola (1917-1987) è stato soprattutto il romanziere di un mondo provinciale e popolare (visto anche nelle sue componenti storico-civili) descritto senza filtri ideologici, morali, senza il compiacimento della scrittura. Un mondo reale, conosciuto molto bene dallo scrittore per «avervi fatto – lui dirà – le esperienze più importanti della mia vita» e che lo porterà a far coincidere sentimenti e geografie. A segnarlo indelebilmente furono, infatti, i microcosmi umani e sociali del Volterrano, della Val d’Era e Val d’Elsa; della Maremma che, lungo la costa, scende fino a Orbetello o slarga verso i boschi di Massa Marittima; talvolta di città quali Pisa, Firenze, Livorno, Siena. Lo scrittore creò così una sorta di «realismo toscano», narrando paesaggi di persone e di cose, tracciando una topografia di vita e di poesia. Del resto egli dichiarerà che quel mondo «è sempre stato il mio paradiso perduto da riconquistare»; e ancora: «per me quei luoghi e quelle figure erano i frammenti di realtà su cui si proiettava il mio sentimento dell’esistenza». Come testimoniano queste pagine, esiste, dunque, una Toscana – fisica e sentimentale – di Carlo Cassola che è possibile percorrere seguendo i suoi racconti tra terra, mare, boschi, paesi, città, ferrovia. Soprattutto paesaggi umani di uomini e donne (molte donne). Uno spaccato di Toscana che dal primo dopoguerra affaccia fino agli anni Sessanta e Settanta. Piccole storie comunque iscritte nella grande Storia e nel ricordo collettivo. Lacerti di memoria, di terre, di anima. Ciò che Cassola chiamava, appunto, «il sentimento dell’esistenza».
Foto di Irene Taddei
Prefazione di Paolo Di Paolo
Carlo Fini –
La Toscana di Cassola. Un’avvincente ricerca di Luigi Oliveto
È reperibile nelle librerie senesi e non solo un libro dedicato ad uno tra i più apprezzati narratori del secolo scorso: Carlo Cassola (1917-1987). Ne è autore Luigi Oliveto, ed è giusto subito elogiarlo per questo suo impegnativo lavoro, così denso di notizie e citazioni pertinenti, in uno stile limpido e personale. Il titolo, significativamente, è: “Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Cassola” (Primamedia Editore), arricchito da affascinanti immagini fotografiche di Irene Taddei e da un’acuta introduzione di Paolo di Paolo. Da sottolineare, inoltre, il sostegno della Cassa di Risparmio di Volterra e della sua Fondazione, oltre ai Comuni di Volterra e di Cecina. Oliveto non è certo nuovo a questo tipo di indagini: basterà ricordare “Siena d’autore”, gli studi su Carducci e Pascoli, sui canti della tradizione popolare toscana e su Mario Luzi. Appare tutt’altro che semplice parlare agilmente di un’opera così ben definita e ricca di particolari. Si rivela opportuno procedere per sintetiche annotazioni che, pur nella loro esiguità, cercano di dare un’idea di un libro così complesso, scandito in capitoli che appaiono in grado di restituirci il senso di un’opera: il complicato rapporto del narratore con il paesaggio della Maremma, di Volterra e di Cecina, popolato da una serie di figure minori, eppure vivamente rappresentative.
Come ha rilevato opportunamente Oliveto, la scrittura cassoliana mette in primo piano, come protagonisti, gli umili, i non-eroi, insomma un mondo provinciale, rappresentato attraverso la scelta di un linguaggio asciutto e controllato, che raggiunge i migliori risultati nell’esercizio della sottrazione. Soprattutto nei dialoghi si fa apprezzare il tentativo di riprodurre le espressioni popolari, caratteristiche di quel territorio. Ai suoi personaggi “semplici” l’autore conferisce sentimenti conseguenti, ma sempre con grande rispettosa partecipazione e comprensione. Anche gli scenari dove sono collocati i soggetti del racconto sono fondamentalmente quelli di Volterra, Cecina e la Maremma, con alcune eccezioni marginali. In un tale insieme di elementi narrativi si manifesta quello che è stato definito il “realismo toscano”, che corrisponde al pensiero dello scrittore, che ha dichiarato: “Questo è sempre stato il mio paradiso perduto da riconquistare”; e ancora: “Per me quei luoghi e quelle figure erano frammenti di realtà su cui si proiettava il mio sentimento dell’esistenza”.
Dopo un’iniziale propensione, sulla scorta di Joice, verso quello che Manlio Cancogni definì “il subliminare”, cioè un approccio alla vita puramente esistenziale, che supera ogni contenuto ideologico, etico e religioso, al di fuori di ogni senso pratico, come in “Alla periferia” e “La visita” (1942), il registro estetico cambia con “Il taglio de bosco” (1950), “Fausto e Anna” (1952), “I vecchi compagni” (1953) e si conclude con “La ragazza di Bube” (1960). In queste ultime opere Cassola recupera, sia pur criticamente, i valori della Resistenza, alla quale aveva personalmente partecipato. Poi – dobbiamo procedere in sintesi di fronte alla sua produzione di circa venti volumi – subentra il momento dedicato ai protagonisti femminili (Anna, Mara, Gisella ed altre). Per esempio, è importante che Anna, nel racconto “Le amiche” (1980), pur di fronte a varie difficoltà, ricordi il tempo nel quale si era costruita una sorta di “corazza” contro i disagi della vita. Sono da mettere in evidenza le drammatiche sequenze di Anna e Bice – in “Un cuore arido” – innamorate di un uomo in procinto di partire per l’America. In questo contesto si collocano anche “Storia di Ada” e “La maestra”, scritti agli inizi degli anni Sessanta. Poi, lasciato l’Editore Einaudi, Cassola pubblica con Rizzoli “Monte Mario” (1973), “L’antagonista” (1976), per concludere vita e carriera con “Il ribelle” e altri testi dedicati al disarmo ed alla sua partecipata battaglia contro la bomba atomica.
Per ovvie necessità di sintesi – rifacendoci sempre alla documentata e brillante esposizione di Luigi Oliveto – accenniamo al paesaggio tra Cecina e Volterra. Il centro di questa piccola città, con la sua borghesia miope ed arroccata in palazzi signorili, ha però un altro volto: quello popolato da artigiani, alabastrai e lavoratori arguti ed accoglienti. Poi c’è Cecina e la sua Marina, luogo di “villeggiatura” – come si diceva allora – e di giocondità giovanile. Se ora mi è consentita una breve digressione personale, confesso di aver trascorso anch’io due anni al Liceo di Volterra, ben oltre mezzo secolo fa. Eppure quel periodo mi è rimasto nel cuore, certo per merito di Luigi Blasucci, mio illuminato docente (ora professore Emerito alla Normale di Pisa), ma anche per il clima di rara ed affettuosa accoglienza che caratterizza i suoi abitanti.
La Voce del Campo Giovedì 24 Gennaio 2019/ Numero 1