Siena (Il Corriere di Siena) Uomini che maltrattano le donne, che le odiano a tal punto da ammazzarle. Per un rifiuto, per la fine di una relazione, per figli contesi. Storie diventate quasi quotidiane che colpiscono l’opinione pubblica per la violenza e la crudeltà. O che semplicemente restano sussurrate nelle stanze dei centri antiviolenza dalle donne che trovano la forza per denunciare. Alle loro storie e ai sentimenti che agitano i loro carnefici, lo psicologo Luciano Di Gregorio ha dedicato un libro dal titolo “L’ho uccisa io. Psicologia della violenza maschile e analisi del femminicidio” (primamedia editore), volume unico nel suo genere perché per la prima volta analizza le motivazioni psicologiche che animano gli uomini violenti.
Quali sono i profili psicologici degli uomini che maltrattano e uccidono le donne?
“I soggetti tipo sono gli uomini tuttora ancorati alla matrice culturale maschilista, che pretendono di dominare il rapporto con una donna sottomessa al maschio. Su questa matrice di base culturale si innesta una personalità di tipo “narcisista” nel senso di un soggetto che non ha messo in discussione un’immagine di sé grandiosa, il maschio adulto violento è come il bambino dell’infanzia che si crede padrone del mondo”.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento dei casi di violenze o ad un aumento dell’attenzione mediatica?
“Sono aumentati anche se di poco gli omicidi di donne da parte di ex mariti, conviventi e amanti (128 nel 2013). La violenza complessiva non è ancora stata monitorata a livello nazionale, è vero, però, che se ne parla molto di più e che ci sono molte più donne che oggi hanno il coraggio di denunciare il loro compagno. Quindi il fenomeno sembra che esista di più ma forse è uguale a quello che esisteva già da tempo”.
Potenzialmente ogni uomo può essere violento?
“No, non credo, dipende sia da fattori psicologici individuali e sia dalla sua storia personale/famigliare, oltre che dalla crescita emotiva e dalla coscienza morale interiorizzata, e infine anche dalla capacità personale di operare una distinzione da una cultura della violenza e della disuguaglianza di genere, che è ancora dominante nella nostra società”.
Cosa scatena tanta rabbia e tanto odio da portare, in casi estremi, all’omicidio?
“La scoperta della donna persona, della donna come soggetto che esiste nella realtà indipendentemente dal possesso dell’uomo, che lo mette in una condizione di perdita di controllo del mondo esterno e della realtà, lo costringe a confrontarsi con il sentimento della mancanza, della perdita di una parte di sé che era indispensabile al completamento di sé”.
Nella sua carriera c’è stata una storia di violenza che l’ha colpita più di tutte?
“Le storie di violenza che mi colpiscono più di tutte sono quelle in apparenza più banali, invisibili dall’esterno, perché sono fatte di comportamenti, di azioni subdole e di comunicazioni manipolatorie, quelle che si nascondono dietro le premure di un uomo per la moglie, ma che, in realtà, nascondono il bisogno dell’uomo di dominare l’altro e di non favorire mai una sua reale emancipazione. Questa è una violenza ancora peggiore di quella agita e brutale, che si vede perché è fatta di lividi e di ferite sul volto, quest’altra non si vede perché è psicologica”.
La legge italiana tutela adeguatamente le donne?
“No, è assolutamente insufficiente, serve come piano di emergenza e come deterrente per ridimensionare il fenomeno, ma la donna che denuncia non è ancora adeguatamente tutelata, anzi. Spesso dopo che ha denunciato il compagno, e che lui ha subito una sanzione, si trova maggiormente esposta al rischio violenza”.