Descrizione
Torino, primi anni ’80. Quarto di cinque figli, abbandonato dalla madre e con un padre alcolizzato e violento, Roberto a quattordici anni scappa di casa. Sopravvive compiendo piccoli furti e dormendo su una panchina nei giardini di fronte al carcere Le Nuove fino a quando non incontra una famiglia di mafiosi calabresi che operano al nord e che lo assoldano come esecutore. Da questo momento la vita di Roberto decolla, solo che lo fa nella direzione sbagliata. Al servizio della banda, e ancora ragazzino, Roberto compie rapine e regolamenti di conti, tutte attività che gli fruttano molti soldi e molto rispetto. Questa vita vissuta ai limiti, tra denaro e fiumi di cocaina, termina però improvvisamente a vent’anni, quando viene incarcerato con una pena da scontare di diciotto anni. Una volta uscito, Roberto non ha più nulla. Senza appoggi, denaro e un luogo dove fare ritorno riprende a dormire sulle panchine. In più, in carcere ha cominciato a drogarsi, e per procurarsi l’eroina compie altri furti, tutte cose piccole che però lo riportano periodicamente dentro. La sua vita, diventata ormai la ripetizione di un copione stanco, non vale più nulla. Almeno fino all’arrivo di Cinzia, un’operatrice del Sert che gli offre una possibilità: scontare gli ultimi anni di detenzione in una comunità per tossicodipendenti e da lì ripartire per ricostruirsi una vita. Infine, grazie alla cooperativa Arcobaleno, non solo ottiene un lavoro, una casa e degli amici, ma anche la consapevolezza che la parabola della sua vita può essere raccontata per essere d’aiuto a qualcun altro. Nasce così questo libro verità, come testimonianza di una rinascita ma anche come atto d’amore verso tutti coloro che a questa rinascita hanno contribuito. Raccontato in prima persona come in una ideale intervista, la storia di Roberto è una voce spietata e potente, un grido di dolore ma anche di gioia. Commovente e a tratti anche comica, questa voce impietosa e cruda restituisce uno spaccato di vita in cui gli affetti famigliari mancati e l’abbandono diventano non solo l’origine della perdita di identità e direzione, ma anche di una solitudine profonda e sorda che chiede solo di essere riconosciuta perché, come dice Roberto, la vera solitudine non è essere chiuso in carcere, “è quando non puoi chiedere aiuto perché non c’è nessuno ad ascoltarti”.
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