Toscanalibri.it: Stradario massonico di Siena, tutte le strade portano in Loggia

10 Dicembre 2009

Toscanalibri.it: Stradario massonico di Siena, tutte le strade portano in Loggia

Siena (Toscanalibri.it) Stefano Bisi ha imbastito il suo "Stradario massonico di Siena" (con una nota di Luigi Olivetoprimamedia editore) con spirito di perfida e divertita provocazione. È come se avesse voluto dire: “Fate tante discussioni su chi appartiene o è appartenuto a questa o quella Loggia, mai io vi dimostro che camminate da mattina a sera per le strade della Massoneria”. E di vie intitolate a persone che in varie epoche e con diversi intendimenti hanno fatto parte del mondo – dei mondi – della Libera Muratoria ne ha elencate un bel po’: accompagnando il tutto con dense schede biografiche e con un originale corredo di foto. Perché il giovane Alessandro Vagheggini non si è limitato a fotografare in chiave informativa, ma ha adottato  ottiche e angolazioni che consentono di scoprire in prospettiva inedita strade percorse talvolta con sbadata frettolosità, e qui davvero irriconoscibili. Dunque una guida utile e istruttiva, che induce a  più d’una riflessione. La prima che mi viene in mente non la svolgo ma non la posso neppure tralasciare. Questa mania ottocentesca e celebrativa di dare un nome più o meno celebrabile alle vie cancellando la toponomastica storica è stato un vero e proprio delitto. Quanto erano più belli e sonanti i nomi che individuavano una città viva di mestieri e caratteri: Pantaneto, Diacceto, Maestri, Murella, Stufa secca, Sapienza. Taluni per fortuna sono rimasti o recuperati e a suo tempo si è provveduto a far apporre sotto il nome recente una piccola targa col nome più antico. Ora sarebbe il caso di bloccare definitivamente ogni aggiunta e eventualmente sbizzarrirsi – con un’indispensabile sistematicità –   fuori le mura. Svarioni, anche recenti, non mancano. Fatto è che soprattutto all’indomani dell’unificazione del Paese si accentuò la volontà di fare della toponomastica uno strumento di pedagogia politica e di assunzione eroica degli Italiani che avevano ben meritato.

Che in questa prospettiva siano stati molti i Fratelli assurti all’onore della targa non sorprende di certo. Fu Gramsci a definire, in un celebre discorso alla Camera, la Massoneria come il “partito della borghesia”, cioè la compagine che era riuscita a dare disciplinata coerenza alla classe dominante fautrice dell’unificazione laica e civile dell’Italia. E la sua definizione – si sa – fu contrastata da Benedetto Croce che preferì degradare la Massoneria – le Massonerie – a serbatoio di un “ceto medio impiegatizio e commerciale”: etichetta, a dire il vero, riduttiva e sociologica. Piuttosto anche i nomi sparsi per le vie senesi fanno capire che il sodalizio fu molto articolato e comprensivo di variegate opzioni ideali. Ecco allora che al duro Nino Bixio si affianca il martire Cesare Battisti, allo scienziato Enrico Fermi il rivoluzionario Carlo Pisacane, all’irredentista Nazario Sauro l’antifascista Giovanni Amendola. Ma – ed il terzo punto che tocco di sfuggita – di particolare interesse codesto Stradario è quando si sofferma sugli eroi del Pantheon locale, che magari solo qui hanno avuto una via che ne ricordi vita e immerse. C’è il sindaco Luciano Banchi del quale conosciamo vita morte e miracoli grazie alla bella biografia di Giulia Barbarulli: lui che ebbe la soddisfazione di annunciare dal balcone di Palazzo Pubblico l’avvenuta conquista di Roma figurarsi se non meritava l’iscrizione all’album dei privilegiati! Quanto a Mario Bracci, destinatario del bel viale che conduce al Policlinico (per il quale tanto si batté) è uno dei casi in cui Stefano –  . lo ammette del resto – c’è andato largo. Non è affatto documentata la sua appartenenza massonica. Aver avuto buoni rapporti con massoni illustri – Giuseppe Bianchini e Wolfango Valsecchi – non autorizza disinvolte assimilazioni. Del resto un discorso analogo va fatto per Mazzini o per Cavour,  ad esempio. In compenso figurano a pieno titolo in questo piacevole labirinto: Paolo Mascagni, Emilio Pasquale Gallori, Dario Neri, Silvio Gigli, Paolo Cesarini.

Paolo Mascagni si staglia come un eroe giacobino, che non ha finora riscosso la popolarità dovuta. Varrebbe la pena rileggersi il discorso che in suo onore pronunciò Pellegrino Bertini celebrandolo nel corso della festa letteraria del Liceo il 16 marzo 1874. Lo dipinse con toni drammatici nel momento in cui, il 28 giugno 1799, fu fatto prigioniero dalle bande in provenienza da Arezzo del “Viva Maria!”: “Una folla di contadini armati di picche, di tridenti, di bastoni, ferocemente imprecando gli si scaglia addosso. La vita dell’uomo grande è in pericolo: uno di quei ribaldi alza la sua sciabola per colpirlo nel capo; e se un generoso popolano, il fabbro Pettini di Siena, non arresta in tempo il braccio del sicario, Mascagni non è più”. Se si pensa che oggi c’è chi intitola premi ai poveri energumeni del “Viva Maria” c’è da rabbrividire d’indignazione.

Non mancano probi artisti come lo scultore Emilio Pasquale Gallori, che è stato accoppiato dalle parti dei Cappuccini addirittura con Michelangelo e nella scritta dell’autobus della linea 1 è unito – bella ventura! – a Strozzi, protagonista leggendario dell’Assedio che strangolò la Repubblica. Alcuni nomi evocano personalità più vicine ai nostri giorni e che molti hanno conosciuto direttamente e con ammirato affetto ricordano: Dario Neri, imprenditore, editore e artista sommo; Silvio Gigli, che frequentò affiliato alla Loggia romana che annoverava il principesco Totò; Paolo Cesarini, che visse con elegante distacco di cronista funesti riti ideologici e illusorie imprese di guerra. Quando tornò in patria., nella sua “piccola patria”, ci si trovò quasi sperso. Non era più la Siena del suo cuore, confessava. “Perduti – scrisse in una dolente pagina – soprattutto i lunghi silenzi e i modesti passanti. C’è sempre folla brulicante e vestita di colori scellerati che non si addicono ai lastrici e ai mattoni severi”. Aveva un amore sperticato per le ombre e la sobrietà delle vie di una volta. E per il loro nomi che sorgevano da una storia collettiva. Ora Stefano Bisi invita a percorrerle riformulando  implicitamente un abusato proverbio: “Tutte le strade portano in Loggia”.

Roberto Barzanti